martedì 21 luglio 2015

I gruppi degli anni ’60: dopo i “Beaver’s”

Di Claudio de Luca







LARINO. In Molise gli Anni ’60 furono contrassegnati dai gruppi musicali. Fred Buscaglione cantava “Guarda che luna” e quei complessi si “montavano” e si “smontavano”. Dice Gozzano:” O figliolo, il meglio d’altri tempi non era che la nostra giovinezza”; ma la constatazione non deve farci minimizzare la portata di questi momenti di piccola storia, vissuta in un microcosmo, che – per tanti – è rimasto inciso nel profondo. Arrivai a Larino nell’estate del ’62; frequentavo il liceo “d’Ovidio” e maturai l’idea di creare un gruppo costituendo una formazione-tipo. Fui io stesso a proporre il nome del gruppo con un indumento (“stiffelius) che evoca il passato: una giacca da uomo, utilizzata fino al XIX secolo, indossata prevalentemente da persone altolocate o benestanti. Di taglio lungo e di colore scuro, il capo era a petto unico, con i “revers” slanciati. Nonostante avessimo optato per quel nome, non ci saremmo mai sognati di indossarla, giacché – all’epoca – si cominciava già a vestire “casual”, con barba, baffi, capelli lunghi ed incolti ed abiti dai colori impossibili. Dopo il nome, occorrevano i nomignoli: Peppino era “Slancio”; Tonino “’o rré”; Luciano “Franfelle”; Claudio il “Maestro”, oppure “Chopin”; Nicolino” Cochise” perché – essendo barbiere – tagliava i capelli, e dunque “scalpava” i clienti; Pardino, il cantante, era il “canguro” (perché veniva dall’Australia). Ognuno aveva le sue fisime. Per fare scena, il bassista aveva preso a dipingere i suoi baffi biondi di un blu elettrico. Lo faceva con una mistura di acidi che gli bruciavano le labbra. Ai nostri rimproveri, usava dire: “Per l’arte si deve soffrire!”. Non ci dedicavamo solo alle “cover”; orchestravamo ed eseguivamo a modo nostro diversi spartiti, realizzando esecuzioni (che poi rimasero famose) a cui mutavamo soltanto la misura ritmica, seguendo la moda del tempo.



All’inizio non mancarono i “
benefattori”. Peppino Pompeo, commerciante larinese, si offrì di farci acquistare gli strumenti utilizzando lo sconto di cui fruiva. Fu così che potemmo “farci il corredo”. Un altro benemerito fu Peppino Carfagnini , titolare di un locale di somministrazione, che ci regalò un costoso microfono ed un piccolo amplificatore “Geloso”. Più tardi arrivò anche il “manager” Arduino Laudadio, funzionario dell’Ente di sviluppo agricolo regionale, che si offrì di aiutarci nelle transazioni contrattuali. Fu così che cominciarono le serate sul litorale d’estate, quelle tenute nell’occasione delle periodiche feste studentesche, le gare da sostenere con gli altri complessi, le rivalità con i “Beavers” di Termoli e con “I 5 di stasera” di Vasto. Ammazzavamo in questo modo la noia che ci avrebbe oppressi nel condurre una qualità di vita paesana poco esaltante. In quei tempi avevamo 16 anni e tanti filarini. Ma poi ognuno prescelse la propria strada. D’altronde la luna, sotto cui operavamo, predilige gli amanti al punto che, dopo di averli cullati per il primo mese di matrimonio (luna di miele), prosegue facendoli vivere e sognare sulle proprie alture, distaccandoli dalla realtà, imprimendo i suoi influssi soprattutto in quelle donne che le si dimostrino affini. Ne dà conferma il proverbio: “Donna e luna: oggi serena, domani bruna”; e pure il Principe de Curtis, in arte Totò: “’A sera, quanno ‘o sole se nne trase e dà ‘a cunsegna a luna p’ ‘a nuttata, lle dice dint’ ‘a recchia: i’ vac’ ‘a casa. T’arraccumanno tutt’ ’e ‘nnammurate “. Quando ci capitava di partecipare alle gare tra complessi regnava sovrano il plenilunio, quando il satellite si fa pericoloso, esercitando influssi nefasti ed eccitando chi già ha l’animo del lupo mannaro. Fu certamente per questo se gli “Stiffelius” le buscarono di santa ragione a Termoli. Ma la luna sapeva essere anche fredda e distante, come quella volta a Vasto, quando il gruppo frentano riuscì secondo dietro un’altra bravissima équipe. Quella volta il nostro senso del ritmo non commosse l’astro d’argento che, facendo capolino dal cupolino de “La Ciucculélla”, mostrò di non curarsi “dell’abbaiar dei cani” (vale a dire delle nostre inutili lamentazioni canore), facendo capire che chi vuol mostrare “la luna nel pozzo” (come noi avevamo pensato di fare, eseguendo l’arrangiamento della “Canzone di Lara”, famoso tema del “Dottor Tzivago”), poteva soltanto illudersi per quella proposta musicale, mostrando nella realtà l’identica vanagloria ed arroganza di chi “siede sul sole e posa i piedi sulla luna”. Ora tocca ai “Beavers” ricordare tutti noi nelle serate termolesi di fine mese

Fonte: Qui 

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